MINATORI
ammindano
nella storia...
Il lavoro in miniera e nelle gallerie
“Eroi senza
alternativa”
La polvere in sospensione fitta come nebbia autunnale, acre e tagliente
penetrava fin nei polmoni, ad ogni respiro. I passi venivano illuminati
dalla luce fioca tremolante della
lampada a carburo.
Negli orecchi echeggiava ancora il tuono, lo scoppio della
“volata”
che era appena stata incendiata. Con le
giacche intrise di polvere gli uomini cercavano di spingere quella nube
verso l’esterno, cercavano quell’aria pulita che garantisse loro la vita.
Umidità a percentuale altissima, freddo, pancia vuota o quasi. Tutto ciò
potrebbe sembrare una scena tratta dall’inferno dantesco della Divina
Commedia di Dante Alighieri, un’opera frutto del genio poetico e narrativo
del grande scrittore toscano; invece purtroppo i protagonisti so reali e
sono volti a noi conosciuti,, volti familiari, volti che in molti casi
riposano nel cimitero condannati dalla loro scelta di essere emigrante.
Sono state organizzate mostre, manifestazioni, cerimonie commemorative, ma
niente e nessuno potrà mai rendere onore e merito in modo esauriente a
coloro che hanno sacrificato se stessi, la loro carne, per costruire
questa società, per dare ai loro figli una vita decente, degna di essere
vissuta. Chi non ha avuto almeno un minatore in famiglia, chi non ha mai
sentito parlare della “pussiera”.
San Gregorio ha pagato e continua a pagare un tributo altissimo alla
miniera; basti segnalare che nel 1967 venivano pagate 100 pensioni per
silicosi e 150 vedove ricevevano una rendita per la medesima malattia
professionale. Nel 1991 tali valori si riducevano a 54 e 112, quindi la
diminuzione è frutto di decessi visto che begli anni settanta e ottanta le
cause di silicosi si sono praticamente annullate.
Nel nostro comune già agli inizi del secolo, vista la carenza cronica di
occupazione,decine di uomini, spinti disperata situazione scelsero di
lasciar casa, famiglia, affetti, tutto ciò che di più caro avevano per
cercar lavoro e miglior fortuna negli angoli più remoti del nostro
pianeta. Stati Uniti, Canada, Svizzera, Belgio, Argentina, Australia, sono
alcuni paese in cui i nostri cittadini hanno consumato le loro fibre
infilati come talpe nel sottosuolo nel faticoso intento di strappare
materiale dalle viscere della terra.
Si reputa che tale attività sia riconducibile ai tempi dell’impero romano,
il quale sfruttava la miniera di rame delle valli dolomitiche impiegando
personale del luogo. Paese desolato, attanagliato dalla fame, condannato a
priori dall’emigrazione, alla sofferenza; questo è stato
San Gregorio.
Centinaia di uomini, intere famiglie, hanno respirato la polvere delle
miniere, delle gallerie; chi ha avuto fortuna è finito in grosse società
minerarie in cui esisteva una certa organizzazione, e una benché minima
tutela del lavoratore, altri, meno fortunati, sono stati costretti
all’avventura, in budelli polverosi, umidi e bui in condizioni disumane,
sporchi, ignoranti con padroni assillanti, ciechi ad ogni tutela della
salute e a volte dei più elementari diritti. Come non ricordare coloro che
scendevano nelle miniere di carbone del Belgio, nelle miniere ad oltre
2.500 metri di Cogne, La Thuile, in condizioni fisiche estreme, a volte
con lo stomaco vuoto (nei tempi della “tessera” fascista). Persone che per
guadagnare qualcosa rimanevano lontane da casa per intere stagioni e molte
volte per anni.
Dai tempi pioneristici eroi senza alternativa degli inizi del secolo, si è
passati alla rinascita economica del dopoguerra, nella quale i minatori
hanno scavato migliaia di gallerie in ogni parte del mondo:
Persia, Rhodesia,Ghana, Francia,
Giappone, Colombia, Perù, Equador, Tunisia,
Libano
per citarne alcune. Le condizioni certamente erano migliori ma comunque il
rischio fisico non era certamente stato eliminato. Morti ogni anno, vedove
con il vestito nero ed i figli piangenti che affollavano il cimitero.
Famiglie distrutte ( i 5 fratelli
“Bini” di Muiach
morti tutti per silicosi) dalla morte silenziosa, senza scandali.
Testimonianze di sacrifici inauditi, di vite da condannati. Un minatore ha
detto con voce fiera ma velata di tristezza: “La vita ci ha condannato,
non ci resta che la rassegnazione e la speranza che i nostri figli siano
più fortunati”.
Ma come vivevano questi uomini? Cosa facevano fuori dalle gallerie buie
nelle poche ore di libertà? Generalmente il lavoro consisteva di turni di
8 ore, ma nei cantieri molte volte gli straordinari erano la regola,
quindi le ore diventavano 10 e 16, a seconda dell’occasione.
Si lavorava sei giorni su sette, se non sette su sette (solo dopo le lotte
sindacali si è ridotto a cinque giorni). I vestiti erano forniti dalla
società nelle grosse ditte, di fortuna per gli altri (agli inizi del
secolo gli emigranti in Austria andavano a piedi scalzi durante il viaggio
per risparmiare le “galohe”,
che sarebbero servite loro a lavorare. Dormivano in baracche di legno,
senza riscaldamento e dovevano procurarsi la legna per scaldarsi nelle
lunghe notti invernali (a Cogne negli anni ’40 – ’50) quando la neve
entrava nel letto.
Gli unici momenti di rilassamento erano la compagnia di un bicchiere di
vino in un’osteria o qualche partita a carte o a bocce. La maggior parte
cercava di non gettare al vento i guadagni sudati per costruirsi una casa,
per sfamare la famiglia. Certi fortunati portavano con sé la moglie ed i
figli che riuscivano a lenire di molto lo stress psicologico di quella
esistenza.
Gli spostamenti erano fatti in treno o in corriera e molte volte a piedi o
con biciclette scassate, senza comodità.
Lavoro,
lavoro e soltanto lavoro, questo era il credo di questi uomini che messi
sotto scacco dalla storia hanno risposto chinando la testa e le spalle
dentro budelli polverosi, riempiendo i polmoni di morte.
Quando tornavano al paese davano una ventata di novità, soprattutto nelle
grosse festività cristiane, i più giovani fantasticavano sui luoghi
lontani, sulle imprese sotto terra auspicando anche loro di una pari
esistenza , condannandosi già nel sogno alla sofferenza.
Minatori, come uccelli migratori, eroi senza alternative.
Mares Renzo
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