A bordo del GENEPESCA X
ampagne
di pesca atlantica a bordo delle navi
Genepesca. Imbarcato
nel 1966 nelle motonavi da pesca Atlantica della
GENEPESCA di
Livorno con la mansione di Motorista navale, dapprima sul
GENEPESCA VI nella sua
ultima campagna di pesca del 1966/67 quindi sul
GENEPESCA X fino al
1969, ultima campagna di questa unità con la GENEPESCA, che verrà poi
venduta alla società SITMAR
di Ancona, acquisendo il nome di CORRADO III,
società che a quel tempo gestiva motonavi tipo STANISLAVA, CORRADO II e
altre. Nel 1970 ero stato richiamato per adempiere al servizio militare in
marina della durata di 2 anni, concludendo così la mia vita di marinaio
per cominciare quella di informatico a Milano a seguito di ulteriori corsi
per introdurmi in quel settore.
Vita di
bordo di quegli anni.
Arriva l’ora di pranzo, oggi si mangia a base di pesce e la mente non può
fare a meno di tornare indietro alla fine degli anni ‘60 a bordo del
Genepesca X
con mansione di
“motorista navale”,
a centinaia di miglia marine dall’Italia, in pieno Oceano Atlantico.
In navigazione sul Golfo Leone verso lo
stretto di Gibilterra e Las Palmas de Gran Canarie.
Siamo a bordo di una delle navi della GENEPESCA con Sede a
Calambrone (Livorno),
alla fonda insieme con altre decine e decine di navi da pesca oceaniche.
Ormeggiate una accanto all'altra come cassette di frutta al mercato,
battenti le bandiere di mezzo mondo. Quello cosiddetto sviluppato,
naturalmente. Di bandiere africane, in giro, nemmeno l'ombra.
Il nome dell'isola è
Las Palmas De Gran Canaria,
parte di un esotico arcipelago dove la primavera è l'unica stagione
dell'anno. Siamo in attesa di imbarcare provviste, carburante e marinai di
rinforzo. Nel gergo dei pescatori d'alto mare, la sosta è detta
"fare bunker".
Ultimati i rifornimenti, fatto il bunker, si fa rotta a Sud per
raggiungere la prossimità delle acque territoriali di fronte alle coste
del
Senegal
o della
Mauritania.
Ancora due giorni di navigazione ed eccoci nelle zone di pesca più ricche
del mondo.
Grande preda a bordo del Genepesca VI,
dove sono stato imbarcato nell'ultima campagna di pesca prima del disarmo
nel 1967. Qui samo nel 1962.
Individuati i branchi di pesce dallo
scandaglio,
il comandante ordina il via. A poppa della nave, lungo uno scivolo che
finisce direttamente nelle acque profonde dell'Oceano, si calano in mare
le reti. Lunghe centinaia di metri, tanto ampie da contenere un treno per
tutta la sua lunghezza. E' la prima
calata.
I marinai, dopo i preparativi protrattisi per settimane, parlano, fumano,
gridano, sorridono. Celano il nervosismo dell'attesa scherzando
grossolanamente. L'eccitazione è evidente in ognuno.
Tre ore dopo, la
campana del verricello
avvisa che le reti stanno per essere salpate, tirate su dal fondo
dell'Atlantico. Per l'occasione, comandante, macchinisti, cuoco,
elettricisti, persino l'inserviente del comandante, tutto l'equipaggio è a
poppa o nelle sue vicinanze. Ed ecco la rete risalire lo scivolo per
centinaia e centinaia di metri. Ecco il paranco, a cui viene agganciato,
alzarne in alto il fondo. Per un cittadino, l'impressione che se ne può
ricavare è quella di un enorme
sacco
scuro tenuto sospeso sopra la testa dei marinai.
Il gigantesco rigonfiamento della rete informa gli astanti che la pesca,
la prima, potrebbe essere eccezionale. Il marinaio addetto ad allentare la
sagola che tiene stretto il fondo della rete si avvicina. Mille, duemila,
forse tremila chilogrammi di pesci guizzanti e rilucenti si spandono sulla
larga poppa. Il comandante dopo un primo sguardo, se ne va. Ad un cenno
del
nostromo, o capo pesca,
inizia la
cernita.
In pochi minuti i marinai sono in grado di dividere il pesce che viene
inviato, tramite una botola, nel locale sottostante. Qui il quantitativo
prescelto verrà sottoposto ad una ulteriore cernita e diviso per grandezza
e specie diverse, pulito razionalmente e messo in apposite cassette.
Alcuni marinai hanno il compito di porre le casse del pescato all'interno
delle
celle surgelanti.
Intanto, in coperta, ributtato a mare il pesce scartato, tra le grida di
gioia ed eccitazione degli albatros e dei gabbiani, le reti vengono
nuovamente calate in mare. Saranno salpate di nuovo esattamente dopo circa
3 ore. La pesca si protrae nell'arco delle ventiquattro ore, sette giorni
la settimana, per ognuno dei circa quaranta giorni che occorrono ai motori
di bruciare il carburante di cui, al momento, sono ancora pieni i serbatoi
della nave.
Vita dura per i marinai che riescono a sopportare di calare e salpare reti
ogni 3 ore per quaranta giorni di seguito, senza effetti collaterali per
la propria salute fisica e psicologica, con l’unica soddisfazione di uno
stipendio doppio rispetto a quello di chi lavora a terra!
Durante le piccole pause, tra un cascare di sonno e una sigaretta, mentre
il nostromo valuta che occorreranno almeno due
"bunker",
circa 3 mesi, per riempire la stiva con la capacità di 300 tonnellate di
pescato congelato, si rammendavano per l'ultima volta le reti, si chiudeva
la stiva e rotta verso Livorno. A Las Palmas ci si fermava per il "bunker"
che avrebbe riportato la nave a casa, mentre i marinai
dormivano e dormivano e dormivano
per recuperare.
Freddo polare e lastre di ghiaccio intorno
al Genepesca I nei mari del Nord dello stretto di Davis in groenlandia.
Oggi,
inspiegabilmente, le navi da pesca oceanica di mezzo mondo, quello civile,
non solcano più le acque profonde di quella parte di Atlantico.
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