Inoltre, tre negozi di generi alimentari: dalla
Lina in piazza, poi da
Mario e infine da donna
Laura e Bruno Bissacot; quest’ultimo aveva una
delicatezza, quando gli ordinavi delle acciughe sotto sale, nel toglierle
da una grande scatola, scuotendole con cura per liberarle dal sale in
eccesso e quasi pregustando quei “bigoli in salsa” che più tardi si
sarebbe preparato l’acquirente.
Una cartoleria dominava la piazza con annesso barbiere,
Giancarlo, e c’era
anche una macelleria. Quasi dimenticavo il simpatico dottor
Gentili,
sempre con una voce pacata, che in un piccolo buco aveva creato una
farmacia (andato avanti giovanissimo, poverino). Anni dopo sorsero anche
una succursale della Cassa di Risparmio (poi Unicredito) e l’ufficio
postale. La banca ha rinunciato da tempo; sembrerebbe che tra un po’
l’ufficio postale venga aperto 2/3 giorni a settimana e, d’altra parte,
già la posta viene consegnata a discrezione.
San Gregorio divenne famoso per delle idee geniali di un uomo in
particolare, Giulio Gazzi. Questi s’inventò la
mostra delle Zoche. Nei
locali dismessi del vecchio Municipio invitò tutta la popolazione ad
esporre tutti quei pezzi di legno o radici, nei quali loro avevano
intravisto (come quando guardi le nuvole) delle forme strane. Ne venne
fuori un qualche cosa di entusiasmante che ebbe una risonanza nazionale e
che poi continuò, tanto che adesso c’è un museo dedicato alla mostra delle
Zoche da vedere e consigliare a tutti, scolaresche comprese. Sempre questo
genio, per far vivere il paese un po’ di più, creò, coadiuvato dal figlio
Daniele, il Carnevale San Gregoriese; c’è da dire che era seguito da gran
parte dei paesani che gratuitamente si mettevano a disposizione (mi
ricordo di Bruno Gallina che stette chiuso non so per quante ore per
muovere i meccanismi da dentro un gigantesco
“Goldrake”; ogni tanto dal
naso usciva del fumo ma era quello di una sigaretta). Naturalmente come
tutte le cose che hanno successo, dopo un po’ di anni, considerando anche
la gente che attraeva, venne copiato da tutti gli altri paesini dei
dintorni.
Ci fu poi il
Ferragosto San Gregoriese con sagre giochi vari, che
culminava con l’affascinante tiro alla fune e poi con la lotteria, i
panini, la frasca, la birra a fiumi, ma tutto qui, tutto tra noi.
Sempre in questo paesino, dove una volta tutti erano cacciatori, ci fu il
gemellaggio con un paese austriaco famoso per la costruzione dei fucili
“Ferlach” con scambio di visite. Altra idea geniale
“la smonticazione”
per
festeggiare il ritorno dall’alpeggio di tutte le mucche che sarebbero
ritornate nelle proprie stalle. Anche qui una partecipazione di tutto, ma
proprio tutto, il paese. Con forza e tenacia a sostituire Gazzi ci fu
Espedito Pagnussat che la Pro loco se l’era proprio sposata (credo che
ormai abbia compiuto anche le nozze d’oro); il gruppo degli Alpini e la
Pro loco assieme avevano una forza e una potenza da poter sfamare non uno
ma due paesi e tutti quanti quelli che ci venivano a trovare.
Nel mezzo il ritrovo sulle
Ere, un rifugio tirato su con tanti sforzi da
Alpini, Pro loco e
simpatizzanti – dove, per onorare un vigile del fuoco
caduto nell’adempimento del suo lavoro, si svolgeva una corsa in salita,
il Trofeo “Luigino Ducapa” – e poi a
San Felice, con tanto di
alzabandiera, messa e pranzo, spesso con la partecipazione anche del
Vescovo.
Ancora le feste: si iniziava con la Befana, che sul selciato della chiesa
distribuiva calze piene di dolciumi a tutti i bambini del paese, e di
seguito la premiazione del presepe e dell’albero di Natale più belli ed
originali.
In primavera inoltrata iniziavo a girare per il paese per fotografare il
balcone fiorito più bello, ad ottobre veniva fatta la premiazione ed
assieme si premiava la torta più bella e quella più buona; nella stessa
serata veniva consegnato anche un premio a quella persona o atleta che si
fosse distinto maggiormente durante l’anno.
Si riempiva comunque la palestra con tutto il paese e, tra proiezioni di
diapositive, assaggi di torte ad applausi per i vari riconoscimenti, si
stava tutti assieme. Nella stessa palestra, almeno due volte all’anno, si
allestiva il palco, con tanto di sipario e qualche compagnia teatrale di
dilettanti, ma comunque tutti bravi, venivano a proporci commedie famose e
non.
Ed avveniva anche questo. Un sabato settembrino, così all’improvviso verso
le cinque di sera, – nessuno lo sapeva, ma tutti sapevano, quelli di
Roncoi soprattutto – arrivava, in una piazzola di cemento mezza nascosta
da una fila di carpini, un trattore dove dal rimorchio venivano scaricati
dieci tavoli e venti panche. Mentre le donne preparavano le tavole,
arrivavano Gianni e
la Mirella, artefici e coordinatori di tutto, con
pentoloni di brasato di capriolo. Intanto erano già stati preparati i
fuochi (quelli sono sempre a disposizione); nel frattempo il solito
Fabio,
nel “calieron” mescolava cinque chili di polenta. Ed incominciava la
processione: chi portava una forma di formaggio, una soppressa, un salame
affumicato, chi una cassa di birra. Le donne si svuotavano le dispense,
per fare bella figura, appoggiando sulle tavole peperoncini sott’olio
ripieni di acciughe, sottaceti e altre prelibatezze,
Gabriella una volta
portò due tiramisù giganteschi, e casse di vino. Finita la cena,
Oreste
iniziava a fare il giro facendoti assaggiare la grappa con il miele,
seguiva quella col caffè, con il mugo e guai a non assaggiarle… e
naturalmente non potevi offendere altri suoi imitatori. Dopo frizzi ed
intrallazzi il mattino seguente, passando, trovavi tutto sistemato.
Questo era San Gregorio nelle Alpi.
Ormai ci rimane, ma chissà per quanto ancora, l’onorare i patroni
Santi
Pietro e Paolo, ma è per intimi. Ci sono i piatti tradizionali e la
favolosa polenta fatta dai due maestri Adriano e Fabio e i dolci preparati
dalle pie donne e non. Si passano un po’ di ore in allegria fra
“spetegules” e l’immancabile estrazione della lotteria.
Ebbene, qualcuno si domanderà per quale motivo sto rivangando tutto
questo. Una sola risposta: perché è finito tutto.
Sessant’anni fa non c’erano le distrazioni televisive che ci sono adesso;
le occasioni di stare insieme erano poche e si approfittava di queste.
Anche il paese era sessant’anni più giovane e tutti davano volentieri una
mano; le automobili e i motivi per uscire dal paese erano meno e c’era più
altruismo.
Anche i locali ne risentono: un po’ di anni fa una famiglia intraprendente
aveva aperto un panificio dove preparavano panettoni e colombe
eccezionali; per un motivo o per un altro hanno chiuso anche loro. Tengono
duro, ma non so ancora per quanto, Mario
con l’unico negozio di alimentari
rimasto, la cartoleria che ha riaperto dopo un lungo periodo di chiusura e
la farmacia di Luigi. Se cedono anche loro, buondì paese!
Ormai siamo rimasti in pochi; sulla strada dove abito, su sette abitazioni
gli stanziali sono tre, due sono case di vacanze, un’altra non si sa che
fine farà, un’altra sta cadendo a pezzi. Ma l’idea geniale è che, mentre
tutti noi per il gas ci serviamo ancora del bombolone, hanno posato
proprio in questi le fibre ottiche… questo è progresso.
Credevo nelle favole ma non è più così. Forse è l’agonia di un’epoca.
Da un racconto di Renato Idi.
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