PESCE D'APRILE 1966
ammindano
nella storia...
Eravamo
attorno all'ultima quindicina del mese di Marzo dell'anno 1966. Qui a S.
Gregorio ognuno era impegnato nei propri lavori ed ancora numerose erano
le famiglie dedite all’agricoltura.
La vita, come si suol eufemisticamente dire, scorreva tranquilla. Un
particolare però, animava più dell’ordinario gli abituali ritrovi
quotidiani di allora, cioè le latterie di
Roncoi e di
Saltoi. Da qualche
giorno l’argomento, oggetto di molto interesse, consisteva nella lettera
“circolare” ricevuta da tutti i possessori di equini di San Gregorio.
Sulla stessa vi era scritto che essi erano convocati con i propri animali
nella piazza principale del paese alle ore 14 del 1 Aprile, per una visita
veterinaria di controllo agli animali. Purtroppo, recitava la “corcolare”,
si andava sviluppando in quel periodo una malattia epidemica che
minacciava la salute di asini e cavalli, pertanto si rendeva necessaria
questa precauzione. Sembra che la “circolare” recasse il timbro di un
ufficio sanitario militare dell’artiglieria di Padova.
Pertanto
nelle sere che precedettero la fatidica data del 1 Aprile, tutti i
possessori di asini, muli o cavalli, si ritrovavano alle latterie,
discutevano ed avanzavano ipotesi e motivazioni sull’opportunità o meno di
accompagnare il proprio animale alla visita veterinaria. Non mancavano
dubbi e perplessità su questa adunata generale, dato che nell’avviso di
convocazione non vi erano tante spiegazioni che dessero un quadro completo
e chiaro. La salute dell’animale però è cosa importante per il concreto
apporto nel lavoro dei campi, per cui prevalse l’idea che, a scanso di
rischi, era utile recarsi in piazza a S. Gregorio per la data indicata
cioè il 1 Aprile. Gran parte dei convocati si adoprarono con impegno
affinché il proprio animale non sfigurasse nei confronti degli altri.
E giù a strigliare, lavare gli animali: sembrava quasi dovessero recarsi
ad una mostra equina! Era circa mezzogiorno di tale giornata, e tra le
persone a scendere a S. Gregorio dalla corriera vi era anche
Gino Bortoluzzi, detto
“Gino Maorin” che, tenendo in mano una borsa, entrava in
un bar e spontaneamente informava il gestore ed altri avventori, di
essersi recato all’ospedale di Feltre, come periodicamente faceva per una
visita di controllo essendo affetto da silicosi. Ad avvallare questa
affermazione più tardi contribuì la moglie
Giovanna (la Nana) che, venuta
appositamente da Roncoi verso l’una e mezzo del pomeriggio, chiedeva con
aria preoccupata a chi incontrava in piazza a S.Gregorio, se per caso
avesse visto il marito Gino, non ancora arrivato per il pranzo, pur
essendo partito a casa di buon’ora.
Intanto pian
piano, la piazza si andava animando: cominciarono ad arrivare i primi
animali ed i loro proprietari provvedevano a legarli al muro che sta di
fronte al “bar alpino” attrezzato con appositi anelli che sostenevano la
corda di scorta della campana “Gregoria”, ancorata là per lo scopo da
alcuni volenterosi.
L’atmosfera che si era andata creando nella piazza vociante era gaia e
vivace, la gente divertita nel vedere asini e cavalli allineati si
intratteneva volentieri a conversare, mentre alla spicciolata altri
animali affluivano. Qualcuno temendo una burla, aveva nascosto il proprio
animale fuori dal paese, sbirciato poi sulla piazza e visto il movimento,
era tornato a riprendere la bestia per fare il suo ingresso con il dovuto
decoro. Un altro ancora era stato visto, mentre venendo giù da Roncoi per
la
“Val de Butaz”, alle prese con l’asino recalcitrante, imprecava contro
tutto e tirava per la “caveha” l’animale, temendo di arrivare in ritardo.
Fu detto che qualche altro ancora, il mattino di questo stesso giorno, si
fosse recato in canonica per avere consiglio dall’allora parroco
Don
Evaristo Viel, nel timore di incorrere nell’eventualità non si fosse
recato alla convocazione. Sembra che Don Evaristo abbia risposto di non
essere in grado di aiutarlo, in quanto, consultando il codice penale, non
aveva riscontrato il numero della legge indicato sulla “circolare”.
E vennero
finalmente le 14, ora della visita veterinaria, ma ancora in piazza non
era arrivato nessuna autorità sanitaria. “Strano” si diceva, “trattandosi
di una autorità militare e quindi avezza alla disciplina, dovrebbe essere
senz’altro già qui”. Passò circa un quarto d’ora, ed in piazza si sparse
la voce che presso la famiglia
Bissacot era arrivata una comunicazione
telefonica da Cesiomaggiore da parte della commissione sanitaria che colà
si trovava per il medesimo impegno, si informava che a causa del protrarsi
del lavoro, era impedita a presentarsi a S. Gregorio e pertanto la visita
veniva rinviata a data da destinarsi. Mentre si pronunciavano i primi
commenti, comparve in piazza un giovane inalberando un cartello con su
disegnato un pesce e lo andò a piantare nel prato sovrastante il muro dove
erano legati gli animali e vi posò alla base un bel piatto di frittura i
pesciolini accompagnati da pane e vino.
In quel momento tutti capirono e i dubbiosi ebbero conferma che si era
trattato di una burla alla grande. La prima reazione che si ebbe fu di una
contagiosa risata collettiva, unita ad un senso di stupore per così ben
organizzato disegno. “Chi mai sarà stato ad ordinare questo scherzo?” si
chiedeva la gente. Alcuni proprietari di animali in spirito di allegria,
colsero l’occasione per intrattenersi in paese fino a sera inoltrata. Una
palpabile euforia regnava in paese, un asinello che i paesani divertiti
avevano abbeverato di vino, non era più capace di reggersi sulle zampe,
provocando una forte ilarità fra i presenti. Il povero
Tranquillo Argenta
pensò che fosse questa un’occasione unica per fare una cavalcata e,
montato in groppa ad un asino, fece il giro della piazza, ma quando fu
all’altezza della canonica venne malamente disarcionato a terra, per
fortuna senza conseguenze. Non tutti però accettarono lo scherzo alla
stessa tollerante maniera. Vi fu chi con immediata intuizione, pensò che
il responsabile della trovata fosse il povero Gino Maorin e, trovatolo
seduta stante, lo aggredì strattonandolo per la camicia, sfogò la sua
rabbia e quando ebbe finito lo lasciò con questa frase, seguita da una
serie irrepetibile di "sirache":
“In do al mus
l’o portà mì ma in su tel porta tì, atu capì....!!”
Era stato infatti il povero Gino in collaborazione con altri ad ordire il
riuscito scherzo che, si pensò, avesse a lungo meditato lassù nella quiete
di S. Felice dove spesso si ritirava nella sua vecchiaia, dove con
quell’aria benevola e ironica intratteneva da par suo chi vi saliva o
passava di lì.
Sandro Cassol
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