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Antiche tracce di vita:

 INO MAGRO

 

 INO MAGRO è morto. Una violenta peritonite lo ha finito, furiosamente, in breve. La notizia si è diffusa con una rapidità insolita.


“Sai chi è morto? - sì sentiva dire - Ino Magro! Si all'ospedale, ieri”. Due cose che parevano impossibili: che Ino Magro potesse morire e che fosse morto all'ospedale . L'età era difficile coglierla in lui, ma non era vecchio, viveva solo, in una fabbricato che non ha definizione: non casa, non abituro, non stamberga che tutto questo è troppo. Troppo per quattro muri vecchissimi e due stanze (macche stanze!): una a pianterreno senza finestre, senza camino, nera e odorosa di fumo, lucida e odorante di caligine disselciata, paurosa.


Una di sopra, dove dormiva in una “vanuia” d’ inverno o in soffitta d'estate “per l'aria” diceva. La visse con suo padre fino a 20 anni fa. Da allora solo come un selvaggio. Di selvaggio aveva l'aspetto, la vita, la parola. Era nero di fumo, di sole, di astinenza di acqua. Aveva giacca e calzoni sulla pelle lucidi di unto e consunzione. Non li cambiava che quando non stavano più addosso. Quasi sempre scalzo . Mai senza cappello, se era più un cappello quel conoide di feltro che gli arrivava a metà naso e copriva i capelli diritti e appiccicati sulla fronte, sul collo neri e vischiosi .


 

Ino Magro - entrato nella mitologia di FORMEGAN -Passava davanti al cortile dei Giuli a Campo x andare al Piave a trovare legna e pescare le trote con il cane Belo dove aveva un altra catapecchia.

Barba poca e poco visibile su quel viso bruciato e nero, senza colore di labbra, senza color di denti.D i bianco non vi era che quell’intravvisto lampeggiare di occhi. Schivava gli uomini, passava per il paese ad ore deserte, mani in tasca, sguardo in avanti, camminando con un ritmo pesante da animale da soma. Nessuno gli voleva male, anzi Formegan lo sapeva soccorrere: secondo il suo temperamento. Neanche i ragazzi, per lunga tradizione di il di rispetto, trovavano giusto a “tafanarlo”, come avviene spesso. Erano piuttosto golosi di ricevere un saluto da lui.


incontrandolo: Inoso! gli dicevano con una voce grossa come la sua. Rispondeva talvolta e raramente, trovava un sorriso sulla bocca, in angolo. La sua vita era al Piave: tutti i giorni possibili. Nelle “isole” raccoglieva legna: la legna di nessuno. All'imbrunire attraversava il paese sotto un fascio di legna impossibile per altre spalle: forse un quintale, forse più: con passo lento, sicurissimo senza sforzi. La vendeva quella legna e ci viveva
I pasti erano rari e “freddi”, raramente dalla sua porta usciva del fumo. La “S. Vincenzo” gli faceva visita due o tre volte all'anno. Era impossibile riconoscerlo entrando, nero su nero, ma era gratissimo e attorno al focolare acceso (che metteva qualche rilievo rossastro) all'antro, parlava come un uomo. Ricordava suo padre, la vita sua, del paese (che pareva non guardare mai), delle famiglie. Non passò mai davanti al cimitero da quando morì il padre. Mi fa “riflesso”, diceva. Non ebbe mai malanni, né si capiva di dove potessero entrarvi essi, in quel corpo tutto bruciato dal sole e duro come una quercia. Si lagnò o alcuni anni fa di diventare sordo. “Sempre più!” diceva “sempre più!”. La “S. Vincenzo” gli portò un infermiere, gli levarono dalle orecchie tappi di cerume vecchio come lui, forse. Gli parve un miracolo e non finiva più di ringraziare, come di avessero ridato la vita.
Aveva, come spesso gli animi primitivi, una passione: la giostra. Il giro in giostra era tutto il divertimento: il solo, forse supremo. Per goderselo andava ogni anno alla sagra di San Vittore. Vi andava camminando sulle sabbie del Piave. Tornava a sera un po' più che allegro. Il vino gli piaceva. Non ne beveva spesso, però, ma quando il gruzzolo bastava (raramente) ne metteva in corpo più di quanto non ne avrebbe potuto portare sulle spalle. E il peso lo atterrava, là dove era, come era: disteso e inerte come un sacco ripieno. Qualcuno lo stendeva su una scala a pioli e lo portava a casa.


 

Mitica casa dove visse il defunto INO MAGRO. Tutta la contrada che ha sempre assistito Ino,  non è mai riuscita a migliorare l'abitazione. Egli diceva di sentirsi benissimo e di starvi anche meglio.

Dopo l' 8 settembre del 43 non rincasò per alcuni giorni. Avevo sentito dire che tornavano i tedeschi e che i nostri soldati fuggivano. Ne arrivano molti, quei giorni, travalicando le Prealpi, alla sponda sinistra del Piave. Ino li traghettava buttandoseli sulle spalle. Tutti volevano ricompensarlo: non vuole niente da nessuno. - Me basta che ghe Salvee, - diceva e ritornava di là ad aspettare .
Venerdì sera i vicini sentirono dei lamenti. Ino stava male . Accorsero. Disse: - Muoio, muoio. E’ stato quel colpo d'aria -, e morì all'ospedale o su un letto poche ore dopo. Ma i formeganesi sottoscrissero in poche ore la somma per trasportarlo qui. Tutto il paese lo accompagnò al cimitero. Un funerale di “lusso”; carrofunebre, fiori corone e tanta tanta gente. Un lusso e un affetto che, forse, non aveva mai nemmeno sospettato, che pensava di non poter vedere mai. E quando ci fu proprio tutto per lui non lo potè vedere davvero povero INO! (
vero nome Emilio Monego).
 

7 Luglio 1959.
Si diceva che al Piave aveva una capanna ,un riparo ,pescava ,faceva fascine di legna....e attraversava il fiume a nuoto in pieno inverno 1886.