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Antiche leggende:

 LA CAZA SELVAREGA

Così si raccontava......

La “Caza Selvarega”  ci riporta indietro nel tempo dove nei nostri paesi regnava una certa superstizione e un’ingenua credulità fatta di miti e paure, di leggende e stregoneria, in gran parte vero, ma altrettanto vero che certi fenomeni testimoniati da episodi sconcertanti esistevano realmente e di questi dobbiamo tenerne conto.


Era formata da una furiosa sarabanda associata a lontane luci, scalpitio di zoccoli, latrare di una muta di cani dal manto nero e gli occhi fiammeggianti capitanati da
“Beatrik” , urla demoniache e un forte sibilare del vento proveniente dal buio della vallata e dei boschi circostanti della Valscura, avvicinandosi dietro di noi, la “caza selvarega” guadagnava terreno sempre più vicina..... sempre di più....di più....


E da quel momento c’era solo una cosa da fare:   Correre!

In certe ore della notte si potevano sentire su queste vallate oscure delle mute di cani che scorrazzavano, abbaiando rabbiosamente di qua e di là, come se stessero inseguendo la selvaggina. Nessuno li aveva mai visti, si potevano solo sentire i loro latrati, ma di certo chi si trovava a passare da quelle parti poteva anche imbattersi sul loro percorso e doveva scansarsi precipitosamente se non voleva essere travolto dalla furia famelica di quei segugi indiavolati. Per la verità non si trattava di cani, ma di anime confinate. Precisamente erano le anime dannate di quei cacciatori del paese, in particolare era diffuso il racconto di un conte della valbelluna, che per coltivare la loro passione trascuravano di andare a messa la Domenica e così, dopo la morte, erano condannati a vagare su per i monti, dando vita a un'incessante quanto lugubre caccia.

Un viandante, imbattutosi in una di queste orde urlanti, aveva osato richiamare i segugi perché si quietassero. Non l'avesse mai fatto: rientrando a casa aveva trovato appesa alla porta una gamba umana, una sinistra premonizione di tragedia, avvisato immediatamente il parroco del paese questi lo consigliava di riportare nottetempo l'ingombrante reperto anatomico sul luogo dell'incontro con la
“caza selvarega” , permettendo cosi ai cani di potersela riprendere. Cosa che egli fece, benché in preda ad un indicibile senso di terrore, riuscì a cavarsi d'impaccio, ma giurando a se stesso che non si sarebbe mai più intromesso in simili avventure.
 

 

 © Cassol Luciano tutti i diritti sono riservati