AL BASATERA
ammindano
nella storia...
Il
Basatera:
Però, com’è strano il “destino” di una persona. Nasce, vive, muore e
lascia una scia di ricordi, più o meno duraturi. Lascia il ricordo delle
sue azioni e delle sue immagini : quante volte ci è capitato di ricordarsi
di una persona ritrovando casualmente una vecchia fotografia?
Cosi, ci è capitato a proposito del “basatera”:
questa rara immagine lo ha richiamato alla nostra attenzione.
La foto lo riproduce in atteggiamento di preghiera davanti alla chiesetta
di
Fumach nel lontano
1939: le mani giunte, inginocchiato, gli occhi supplichevoli:
atteggiamento che gli era consueto. Ma chi era questo personaggio? Perché
fosse un personaggio, cioè un uomo un po’ strano, è fuori di dubbio: i più
anziani se lo ricordano bene come uomo strano, tanto è vero che gli
avevano affibbiato il soprannome di “Basatera”.
E cominciamo col dire che Lui che Lui non era molto contento di sentirsi
chiamare con quel soprannome:si racconta che una volta, a
Carazzai si sia
fortemente arrabbiato sentendosi indicare con tale nome da una donna.
Evidentemente non gli andava quel che di dispregiativo e commiserevole che
il soprannome conteneva, e forse proprio nel rifiuto del soprannome vi è
un’indicazione per interpretare la sua figura: tra i fatti che varie
persone ci hanno narrato è questo il più interessante.
Da dove venisse nessuno lo sa con precisione, come pure l’età e il
mestiere precedentemente esercitato: fatto sta che dagli anni trenta
compariva a San Gregorio con una certa regolarità. Non esercitava nessuna
attività, viveva di carità: arrivava presso una famiglia, si inginocchiava
e si chinava presso alberi, prati, baciava il terreno, alzava
supplichevole le mani al cielo, dopodiché mangiava qualcosa, normalmente
un piatto caldo di minestrone offerto dalla famiglia.
Era modesto, assai educato, non invadente e ripeteva in continuazione:
“Tante benedette grazie!
Tante benedette grazie!”,
viveva della carità delle famiglie, per lo più le solite, che visitava ad
intervalli periodici e dormiva in ricoveri di fortuna. Vestiva molto
modestamente, come si ricava dalla foto: una giacca logora, pantaloni
trasandati, ai piedi le “galohe” e in testa un ampio cappello. Portava una
folta e incolta barba che, unita alle sue azioni rituali, dovette
contribuire non poco a caratterizzarlo come “personaggio”.
Era certamente uno dei tanti poveri che, ridotti in stato di estrema
miseria per vari motivi, giravano di qua e di là, confidando in
un’accoglienza caritatevole e avendo come unico obiettivo la
sopravvivenza.
I “poaret” erano assai diffusi nei secoli scorsi e hanno costituito quasi
un fatto naturale, normale fino al secondo dopoguerra. Oggi se ne è persa
la memoria, non si vedono quasi più. Ci sono altre forme di povertà, ma
l’accattonaggio, il chiedere l’elemosina, la peregrinazione di luogo in
luogo è venuta meno. Un tempo era assai frequente: lo è stata fino verso
gli anni sessanta: i giovani trentenni infatti si ricordano ancora
immagini di uomini che ogni tanto chiedevano ospitalità in qualche fienile
oppure che nelle piazze raccoglievano mozziconi di sigarette lasciati da
altri.
Un elemento rimane comunque abbastanza certo: che il “basatera” può essere
letto come il simbolo di un’umanità di poveri, che è vissuta di carità, di
umiliazioni, di miseria, ai margini della società e della storia, umili
comparse nel gran fiume della storia.
Daniele Gazzi.
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